La  mezzadria e la figura del “fattore”

La conduzione a mezzadria e il patto di mezzadria hanno costituito strumenti idonei a porre a colture il territorio e a conservarlo in buone condizioni di produttività per secoli. Contratti di mezzadria compaiono già nel secolo IX in toscana e sono diffusissimi tra i secoli XIII e XIV anche in Emilia Romagna, Marche, Umbria e aree contermini. Nel 1404 nello Statuto di Reggio Emilia i tombari erano esplicitamente chiamati mezzadri.

Fino alla fine del 1950 la piccola proprietà concedente a mezzadria attraversò le città e le campagne e, con grandi, medi e piccoli patrimoni familiari e con la proprietà di enti, dominò il territorio di molte regioni. In particolare, le Marche e la Romagna sono marcate da poderi con superficie superiore al mezzo ettaro e segnate da altrettante case poderali dove risiedono le famiglie mezzadrili che, assieme a coltivatori diretti, braccianti, pastori e boscaioli producono oltre il 70% della ricchezza totale delle regioni.

Due codificazioni (nel 1865 e nel 1942) hanno normalizzato consuetudini mezzadrili ed usi locali; nel 1933 la carta mezzadrile voluta dal fascismo tentò di conciliare interessi contrastanti  e di dare voce al solidarismo corporativo e alla sbracciantizzazione del lavoro agricolo ma, con  la successiva “tregua mezzadrie”,  i contadini corressero il patto e modificarono il riparto (nei termini di 53% al colono -60% nel caso di mezzadri di montagna-  e 47% al proprietario, più un prelievo obbligatorio di miglioria del podere del 4% sulla parte padronale). Successivamente, la legge del 1964 vietò di stipulare nuovi contratti di mezzadria e segnò l’inizio dell’abbandono dei poderi da parte dei mezzadri e del cambiamento del paesaggio di molte regioni, contestualmente alla crescita industriale. La lotta per la affittanza obbligatoria a favore dei superstiti mezzadri culminò con la legge del 1982 che impose l’affitto e si caratterizzò come un esproprio di fatto, dichiarata parzialmente incostituzionale nel 1984.

Il principio della metà si ritrova anche in altri contratti, come la soccida, diffusa per l’allevamento del bestiame (che prevede la divisione a metà dei nuovi nati e degli esiti delle produzioni derivate: lana, pellami, formaggi) e la “colonia parziaria”, in uso per la coltivazione delle vigne nei territori prossimi alle mura urbiche.  Solo la mezzadria, però, estende il principio della metà all’insieme podere-casa-famiglia colonica-bestiame bovino-seme e frutti.

Il podere o fondo è chiamato anche “passione” (così individuato dagli scrittori di res rusticae del Tre-Quattrocento italiano) ed è provvisto di casa e stalle, ben definito nei suoi confini. Rappresentazioni minuziose dei terreni, dette cabrei, costituite da mappe a colore dei terreni che descrivevano nel dettaglio le colture, gli alberi, i fossi, le case, le strade confinanti, erano già diffuse nel tardo medioevo e, di fatto, rappresentano i primi catasti privati.

Il terreno della mezzadria ottocentesca e dei primi del novecento è un vero ecosistema perfettamente integrato, che salvaguardia la stabilità e la produzione dei suoli, attraverso la varietà delle colture, nel promiscuo del seminativo-vitato-olivato, mediante la rotazione delle foraggiere, tramite ingegnosi sistemi idrici, che utilizzano le acque piovane e l’armatura di difese naturali costruite con siepi, drenaggi, alberi dal sostegno, da legna e da foglia.

La casa colonica, con le appendici di capanne, stie e ripari, é posta in buona posizione sul podere e dispone di una piazza (aia), di strade (cavedagne), di sorgenti (pozzo), di laghetti (pozze), di corsi d’acqua (fossi), di forno, officina, immondezzaio per il riciclo dei rifiuti (fossa), di deposito di materiali per il pronto intervento (paletti, vinchi, canne, fascine, tavolate, tronchi, mattoni, coppi), di magazzini per le scorte alimentari. Tutto, frutto di un duro lavoro, è predisposto per funzionare al meglio di fronte ad ogni condizione ambientale, per non creare lame, per evitare i lavaccioni da pioggia (ripulendo e spalando le cunette stradali confinanti con i podere affidati) o per sopperire ai periodi di seccareccia.

Le attività sono altrettanti obblighi previsti per contratto, finalizzati a “fare bene e tenere bene le cose”; sono doveri che fanno parte integrante di una cultura sedimentata. Non solo il contadino, ma anche il padrone e il fattore tengono a partecipare alla tutela del buon nome della contrada; spesso il padrone o il fattore sono membri della municipalità.

Il fattore, altrimenti denominato ministro o agente, è l’uomo di fiducia della proprietà, che sa come fare fruttare la terra e conciliare gli interessi contrapposti di padroni e contadini. I mezzadri lo considerano un amministratore parziale, poiché ha il ruolo di garantire la metà a ciascuna delle parti. Forse questo è anche il motivo per cui i contadini normalmente lo temono, pur apprezzandone la competenza.

Il fattore conosce infatti i “trucchi del mestiere”: sa come si miete anzitempo il grano senza che la sottrazione risulti ad una verifica, come si alleggeriscono le viti dei grappoli prima della vendemmia, come si nasconde la frutta raccolta clandestinamente, come si contano a vista polli e conigli in branco, come si può addebitare al padrone qualche onere di stalla, raggranellare fascine, vendere sottobanco qualche eccedenza di paglia, far sparire un sacco di concime.

La sua imparzialità può danneggiare il contadino, per il quale è normale, perché necessario per sopravvivere, rubare al padrone sui frutti della terra o sulla gestione della stalla. Spesso il sostentamento delle famiglie è garantito da queste sottrazioni, che consentono di mantenere la quota di produzione come risparmio netto. Il fattore, che è anche contabile e amministratore, è in grado di calcolare la consistenza economica della famiglia mezzadrile e spesso “lascia fare” sino a quando i coloni non eccedono incorrendo nel rischio di escomio, ossia di licenziamento dal fondo.

Ma i fattori “giusti”, capaci di gestire gli interessi dei padroni e di preservare allo stesso tempo quelli dei contadini non sono molti. All’interno della stessa categoria e nello svolgere il medesimo mestiere esistono differenze anche rilevanti.

Una prima classificazione è quella tra fattori di città e di campagna. Nei paesi e nei piccoli centri  le possidenze sono in genere più limitate e meno ricche e le tensioni più forti, perché “tutti sanno di tutto”. Le proprietà medio-piccole si arrangiano con il solo fattore e quelle più piccole ne fanno sovente a meno.

Nelle città i fattori hanno spesso una formazione più qualificata: hanno studiato nelle scuole tecniche e professionali come villa Caprile, e possiedono il diploma di perito tecnico agrario, o sono geometri. Lavorano in esclusiva per grandi amministrazioni e svolgono un vero e proprio ruolo di direttori, rispondendo ai rappresentanti della proprietà: presiedono agli ordinamenti colturali dei poderi, stabiliscono gli avvicendamenti, scelgono le varietà di sementi più adatte, dispongono le concimazioni e le lotte antiparassitarie,  indirizzano gli allevamenti zootecnici, provvedono alle vendite dei prodotti. Essi hanno un eccellente colpo d’occhio nel valutare il bestiame; nei giorni di mercato uno dei luoghi di lavoro è il campo o foro boario (chiamato anticamente mercatale),  normalmente posto fuori dalle mura della città.

Un’altra distinzione tocca la sfera morale e dei comportamenti. Da un lato, esistono fattori retti e capaci, che ricoprono un ruolo sociale rilevante;  eseguono perizie, arbitrano, interpretano le leggi e la loro parola è spesso un riferimento obbligato per altri colleghi e per la comunità.  Dall’altro, esistono fattori dai tratti meno “nobili” capaci, non di rado, di spingersi a frugare nelle camere dei contadini alla ricerca di un cesto di noci nascosto.

Più il proprietario è assenteista o sprovveduto, più l’opera del fattore è difficile e, nel contempo, si presta a facili profitti. Alcuni fattori si arricchiscono in fretta, dopo avere reso passivi i poderi amministrati per la parte padronale o avere indebitato il proprietario facendogli anticipazioni o finanziando qualche suo familiare.

Normalmente la retribuzione del fattore può prevedere uno stipendio, o una percentuale, o entrambe le forme. Nelle amministrazioni più grandi (ad esempio, presso gli enti) esistono più figure: guardiani a stipendio, incaricati dei lavori esecutivi e del controllo delle migliorie. Nelle tenute più estese i fattori hanno l’obbligo di fare rispettare una vera e propria legge, ossia un codice sottoscritto, il più delle volte, con segni di croce dai contadini.

Ministri, direttori, fattori, agenti rurali e guardiani rappresentano le gerarchie dei quadri intermedi tra la grande proprietà e i mezzadri.

Nonostante le eccezioni, il comportamento privato dei fattori e quello espresso nella vita sociale è, il più delle volte, da esempio: molti fattori sono stimati ministri, hanno abitudini decorose, mantengono buone relazioni con le autorità. Hanno case ben arredate e figli che studiano assieme a quelli dei padroni; mogli che, con garbo, sanno trattare con i coloni per le faccende di minore peso, sanno accettare i doni o regalie (capponi, pollastri, formaggi, ricotta, uova, fichi secchi, ortaggi,…) che i mezzadri portano loro ogni volta che devono parlare con il padrone, così come non disdegnano di lavorare al fianco delle mogli dei “capoccia” (dei mezzadri capofamiglia) per curare i preparativi di matrimoni, feste, o altri eventi particolari.

I “fattori” a Montegridolfo

Sia per la limitata estensione del paese, che per la modestia delle ricchezze naturali, nella storia di Montegridolfo i fattori ricoprirono un ruolo importante, ma furono meno numerosi e meno ricchi dei loro compari di città o di altre aree romagnole o marchigiane. Soprattutto, il più  delle volte, si trattò di uomini semplici e onesti,  molto vicini per cultura, sensibilità, condivisione dei valori e delle condizioni di vita, ai propri contadini e al resto della comunità.

Nel nostro paese, dalla seconda metà del secolo scorso, i fattori fanno capo ad un ristretto numero di famiglie che, per tradizione, spesso tramandarono di padre in figlio il mestiere. Grazie alla memoria storica di Vaccarini Maria, di Fraternali Grilli Eugenio (“Ennio”) e Fraternali Grilli Primo (“Mimmo”) si è potuto tracciare un profilo dell’attività di alcuni di loro e ricostruire uno spaccato della vita della nostra comunità, anche attraverso una “geografia” delle possessioni e delle relative famiglie contadine.

Ancor prima di Renzi Giorgio, lo zio “Munden d’Renz” (fratello di Paolo Renzi),  così come Cavalli Ciro, Grilli Eutimio (Tino d’Ghiandon), oltre ad essere possidenti, rivestirono alcune funzioni tipiche del fattore, ma non gestivano mezzadri e furono prevalentemente mediatori di bestiame; il loro lavoro si svolgeva prevalentemente nelle fiere e nei mercati agricoli e di bestiame (ad esempio, Morciano, Pugliano). Altri signori, come Uguccioni Ciro, curavano le loro proprietà di persona e con i l supporto di alcuni uomini di fiducia.

L’ultimo fattore nel senso proprio del termine fu Fraternali Grilli Rodolfo, a molti noto come “Dolf d’Maragon”. Egli svolse il proprio lavoro fino al 1985, quando il mestiere stesso venne meno perché privato dai tempi della ragione economica di esistere. Gli succedette nel ruolo “Clecchia” (Calesini Amato, di S. Ansovino), che tuttora gestisce alcune proprietà, le ultime non vendute di un cospicuo patrimonio agrario, per conto della famiglia Martelli.

      Il ceppo familiare Fraternali Grilli è un caso esemplificativo di storia di fattori. Il capostipite fu Fraternali Grilli Nazzareno. Nacque  il 13 giugno 1847 ad Urbino, da padre e madre ignoti, come si legge nell’atto di morte conservato nell’archivio comunale di Montegridolfo, ove morì a 82 anni,  il 23 gennaio 1930. Fu dunque un trovatello, cresciuto in un convento di frati francescani ad Urbino, forse figlio di un qualche nobile o altoborghese che si preoccupò di fare ricevere al bambino un’educazione scolastica, di fatto non dissimile da quella impartita ai fanciulli delle famiglie  nobili o facoltose. Queste origini spiegano anche il doppio cognome, dove il primo (Fraternali) si riferisce alla Fraternitas (comunità francescana) che lo accolse e lo crebbe e il secondo (Grilli) fu probabilmente attribuito dalla famiglia a cui fu affidato  (non si esclude la stessa famiglia della donna che sposò, tale Grilli Maddalena).

Nazzareno sapeva leggere e fare di conto ed era considerato, all’epoca, una sorta di Ingegnere. Come tale,  partecipò alla progettazione delle prime strade del paese, fra le quali il percorso che scende da Cà Bernardo e dalla Corea dove passava un fosso e c’era il mulino (da farina) di “Cisjion” (padre di Fraternali Grilli Ilde e Maria) e lo “spaccio” di generi alimentari.  Di lui Vaccarini Maria racconta che progettò il campanile della Chiesa di Trebbio e svolgeva funzioni di capo-mastro nei primi cantieri per le opere di “urbanizzazione” del paese.

Nazzareno divenne fattore al servizio della famiglia padronale Scattolari, per la quale lavorò sino al 1925. Gli succedettero il figlio Fraternali Grilli Primo, dal 1925 al 1950 e  il nipote Fraternali Grilli Rodolfo,  dal 1950 al 1985.

Egli ebbe quattro figli: Primo, Vincenzo, Terzo, Marietta.  I primi due seguirono le orme del padre e divennero a loro volta fattori. Fraternali Grilli Primo (che ebbe sei figli: Rodolfo, 1901; Assunta, 1904; Nazzareno, 1907; Mario, 1910; Ada, 1913; Aldo, 1916) rimase a Montegridolfo, mentre il fratello Vincenzo si trasferì a Pesaro e fece il fattore per conto dei signori Valentinotti, le cui proprietà erano prevalentemente ubicate nei territori dei Comuni di Montelabbate (frazioni di Farneto e Apsella) e Montecchio di S. Angelo in Lizzola.

Come vuole la tradizione, ancora oggi nelle rispettive famiglie un qualche rapporto con quel  mondo agricolo che fece la fortuna e segnò  l’esistenza dei progenitori è rimasto ed è il motivo per cui, probabilmente, Fraternali Grilli Primo ed Eugenio hanno scelto di continuare il mestiere di agricoltori e per il quale Fraternali Grilli Giovanni è diventato perito agrario.

I poderi gestiti da Fraternali Grilli Rodolfo e dai suoi predecessori arrivarono ad essere 32. Le fattoranze erano divise in quattro raggruppamenti, corrispondenti ad altrettanti proprietari: Scatolari Rodolfo (che non ebbe figli); Scattolari Guglielmo (“sor Guglielme”); Scattolari-Martelli Margherita; Cavoli Mauro.

Le proprietà amministrate per conto di Scattolari Rodolfo erano condotte dai seguenti contadini o mezzadri: “Baldon”, nel podere successivamente acquistato da “Luzie” (Tenti Giovanni); “Santon” (Maffei Augusto), il cui podere è oggi di proprietà di Ferrini Antonio e Giovanbattista; Galli Amato, a cui successe “Ciro d’Benvenut” (Benvenuti Cesare); “Mancinet” (Mancini Romolo), presso la Chiesa di Meleto;  “Buratel” (Cerri Primo, a cui successe Fonti Giuseppe),  a Cà Bernardo; “Miren” (Del Baldo Adolfo), nel podere che divenne poi di Fonti Mario.

Le proprietà amministrate per conto di Scattolari Guglielmo erano coltivate dai contadini: Terzo “Garnacin” (Fraternali Terzo), nell’attuale Palazzo Scattolari; “Garnacin”, ossia Giovanni Fraternali e fratelli di Terzo, sempre a S. Pietro, nel podere oggi di proprietà di Peonia Osvaldo; “Fle d’Funtena” (Fonti Alfredo), nei pressi del cimitero; “Marsiglio”, nella campagna del monte di Montecchio, “Storten” o “Chitara” (Umbri), sempre sul monte di Montecchio; “Cetre” (Fraternali Esilio), sotto il palazzo Scattolari, al confine con “Buratel”.

Le proprietà amministrate per conto di Scattolari Margherita erano condotte dai mezzadri: “Cuvacia e Tavien” (Ottaviani Bruno), nei Tavolli; “Mira” (Del Baldo Terzo), nella casa padronale di Trebbio (detta “della Margherita”), successivamente abitata da “Fafen de Mut” (Staccoli, poi trasferitosi a Tavullia); “Pagnin” (Verni Lazzaro), a Cà Bernardo; “Funtena” (Fonti Mario e Giuseppe), sempre a Cà Bernardo, nella casa che poi divenne di Lucchetti Francesco; Donati Quinto, a Padiglione; “Bisjin” (Talismani), a San Pietro.

Infine, le  proprietà di Cavoli Mauro erano coltivate dai contadini: “Ciclen Stavo” (Ceccolini Cesare, padre di Celestino), a Castello; Villani Rinaldo, a cui successe Fraternali Augusto, detto “Gut”, oggi di proprietà di Ferrini Antonio e Giovanbattista; “Zugle” (Simoncelli Angelo) nelle attuali proprietà di Fraternali Giovanni; Benzi Enrico (padre), suo figlio  Arturo e relativi figli, a cui successe “Pitrin” (Fraternali Pietro), nelle “campagne verso Tavullia”, oggi proprietà di Giorgio Renzi; Travaglini, detto “per Vincenzo” a Montecchio, in località Grotte. Una ulteriore proprietà della moglie di Cavoli Mauro (Sig.ra Leonardi Fernanda) si trovava a Montelabbate ed era condotta dalla famiglia Mariotti.

Infine Rodolfo seguiva alcune operazioni colturali, quali la trebbiatura, la pesatura del grano, la vendemmia, ed altre, per conto dello zio Fraternali Grilli Vincenzo presso il podere condotto da Cappucci Pietro, ora di proprietà dell’azienda agricola Ferrini.

Ancora oggi gli anziani, e non solo, ricordano “Dolf” girare per il paese e le campagne, i primi tempi con il calesse trainato dalla cavalla nera Lola, poi a piedi, fino agli ultimi anni di lavoro. La cavalla bianca (“Minghina”) era invece il mezzo di trasporto preferito dal padre Primo. 

Gli attrezzi del mestiere di Rodolfo, conservati dalla famiglia, ne evocano ancora oggi il lavoro l’impegno: la scrivania di legno di abete con gli scomparti segreti e la tavoletta a scomparsa per scrivere le lettere; il calamaio; le tante carte e i registri contabili in cui in bella calligrafia erano annotati i frutti e le spese delle coltivazioni nelle annate agrarie;  il timbro di legno per suggellare e asciugare le lettere; il nastro  o  “fituccia” per misurare terreni e tirare confini.

Tuttora Vaccarini Maria conserva vivido il ricordo dei rapporti con i signori e, in particolare con le loro mogli. “Il tempo delle olive, o della mietitura, Scattolari   veniva su da Pesaro con la Balilla. La moglie Piera veniva a Montegridolfo volentieri. Era una persona buona. Era di umili origini e in gioventù aveva fatto “la serva”. Le piaceva fare le conserve, insieme a me e alle altre donne, preparare i succhi di frutta, raccogliere l’erba o, a Carnevale, cucinare le castagnole. I suoi bambini giocavano insieme ai nostri. Ed erano uguali. Una volta sono stata da lei a Pesaro per due giorni, ad aiutarla in alcune faccende e pulizie di casa. (…)

La moglie del Generale (Cavoli Mauro) invece, era più aristocratica e distaccata. Le tre sorelle Martelli, poi, venivano di rado e solo per mezza giornata (…). Di Cavoli Mauro ricordo che era un innovatore. Introdusse le qualità di grano duro, i primi attrezzi moderni, le prime comodità. Scriveva sempre. ”

“Mimmo” e la moglie Anna raccontano di quando, ancora fidanzati, l’ultima domenica prima di Natale si svolgeva la consueta “festa del fattore”: tutti i contadini di Rodolfo portavano regali. In particolare, offrivano i capponi, che venivano cucinati in un ricco pranzo a base di cappelletti, bollito e carne, a cui prendevano parte i mezzadri, uno in rappresentanza di ogni podere gestito, assieme alla famiglia del fattore, nella sua casa.  I capponi che avanzavano, veniva infine venduti ai “treccle”, compratori di polli che venivano da Morciano.

In questa e in altre occasioni i contadini manifestavano a Rodolfo la propria gratitudine e stima, che si è mantenuta negli anni, anche dopo la fine di “quell’era”. La stessa “buona memoria” verso un uomo e un fattore semplice e onesto, che non cercò mai di arricchirsi in modo improprio e che non pretese nessun podere come liquidazione alla fine del proprio incarico, è mantenuta da tanti altri che lo conobbero.

Quella dei fattori è una storia che, a Montegridolfo e in altre realtà, iniziò a declinare all’indomani della seconda guerra mondiale. Ma il ricordo e il segno di quel passato è ben presente nella memoria di tanti e nella storia delle nostre famiglie.

Nel decennio 50’- 60 molte campagne furono abbandonate e tante famiglie di contadini si trasferirono in città, spesso per svolgere negozi che presupponevano investimenti di denaro liquido, proveniente da quel risparmio colonico che consentì anche a molti di loro di acquistare i poderi e la casa ove erano a servizio. Fu un vero esodo a valle, verso il mare; i poderi abbandonati dai più vicini alla costa furono “occupati” da coloni delle fasce collinari e, successivamente dai “montanari” del subappennino che andava svuotandosi. L’emigrazione fece poi il resto. Le strategie mezzadrili già avevano subito una scossa; la diaspora e la nuova industrializzazione fecero crollare il sistema. 

I mezzadri chiesero la buonuscita, a volte in denaro, più spesso contro cessione di porzione di terre. Molti di loro diventano padroni; alcuni fecero più fortuna e divennero talora più ricchi dei fattori e dei vecchi proprietari dei fondi che nonni e padri avevano coltivato, anche se pochi assunsero il ruolo di imprenditori agricoli. Nelle nostre zone furono poche anche le cooperative, al massimo di “macchine mietitrebbiatrici, trattori e ruspe”.

Purtroppo, demolendo soprassuoli e chiudendo fossi i nuovi padroni trasformarono il paesaggio agrario di molte aree, dove l’esistenza dei vecchi poderi è ricordata dalle tante case coloniche che continuano a punteggiare le nostre campagne, alcune diroccate o abbandonate, altre ristrutturate, spesso seconde case di “forestieri”, altre ancora usate come deposito di materiali e attrezzi, ma, sempre, testimoni di una forte cultura e di una vera civiltà.

Riferimenti bibliografici per eventuali approfondimenti:

S. Anselmi (a cura di), Economia e società: le Marche tra XV e XX secolo, Il Mulino, Bologna, 1978.

S. Anselmi, Mezzadri e terre nelle Marche: studi e ricerche di storia dell’agricoltura fra Quattrocento e Novecento, Patron, Bologna, 1978.

M. Paci (a cura di), Famiglia e mercato del lavoro in un’economia periferica, Milano, 1980.

S. Anselmi (a cura di), Insediamenti rurali, case coloniche, economia del podere nella storia dell’agricoltura marchigiana, Cassa di Risparmio di Ostra Vetere, 1986.

S. Anselmi, “Le Marche. Padroni e contadini”, in  Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità d’Italia ad oggi”, Einaudi, Milano, 1987.

Don G. Lupi, Opera Pia Famiglia Balestrieri, Eurograf Srl, Talacchio, 2002.

Mara Del Baldo &  Fraternali Grilli Giovanni

Trebbio di Montegridolfo, 14 giugno 2005